La Chiesa Cristiana in Italia esiste fin dal tempo apostolico, ne abbiamo testimonianza dagli Atti degli Apostoli (Atti 22, 16
– 30) e dalla Lettera ai Romani (1, 1 – 15) in cui l’Apostolo Paolo scrive ai cristiani di Roma e delle altre città italiane da lui
evangelizzate.
Secondo la tradizione,
proprio San Paolo di Tarso, prima di concludere i suoi viaggi missionari a Roma, venne sbattuto dalle forti correnti dello Stretto sulle coste messinesi, ove predicò la buona novella ed organizzò la gerarchia ecclesiastica locale, ordinando Bacchilo primo vescovo della Città del
Faro.
Tuttavia, i primi nomi certi di vescovi messinesi (Eucarpo, 502) risalgono al pontificato di Simmaco (498-514) e, in seguito, al tempo dei papi Pelagio I (556-561) e Gregorio Magno (590-604), i quali scrissero ai vescovi Eucarpo (558?560), Felice (590) e Dono (593).
Come si evince dai nomi, i pastori della storia più risalente della
Chiesa messinese, furono di lingua e cultura greca. Nel 535,
peraltro, il generale bizantino Belisario aveva riunito la Sicilia
all’Impero
romano d’Oriente,
stato ellenofono a cui i siciliani si sentivano legati dopo la
caduta dell’Impero d’Occidente.
I soldati dell’imperatore di
Costantinopoli furono accolti come liberati e quando, nel 549, gli
ostrogoti tentarono di invadere nuovamente l’isola,
la popolazione cristiana di Messina oppose strenua resistenza.
Già
nel 325, all’epoca del Concilio di Nicea, l’Italia meridionale e
la Sicilia erano state incluse nel Patriarcato d’Occidente, con
sede a Roma, ma la popolazione era largamente “italiota” e “siceliota”,
vale a dire di lingua greca. D’altronde, anche nella stessa Roma, solo
nel IV secolo il latino aveva soppiantato nell’uso liturgico la lingua greca.
Non molto tempo dopo, Siracusa, che secondo una tradizione sarebbe
stata la più antica comunità cristiana dopo quella in Antiochia e
la prima in Europa, evangelizzata da San Marziano (o Marciano),
discepolo di San Pietro, divenne sede arcivescovile metropolitana
per la Sicilia. Alla fine del VI secolo Papa Gregorio Magno fa
spesso menzione di San Massimiano, pastore della Chiesa aretusea.
Nel VII secolo la città siciliana divenne addirittura capitale dell’Impero
romano d’Oriente.
Nell’VIII secolo d.C.
fu così disposto il passaggio del Mezzogiorno d’Italia, della Sicilia e dell’Illirico,
territori ormai sotto il governo dell’Impero bizantino, dalla giurisdizione ecclesiastica del Papa di
Roma a quella del Patriarca di Costantinopoli, attestando una volta
di più la maggiore vicinanza delle popolazioni locali alla Chiesa costantinopolitana relativamente al rito, alla lingua ed
alla concezione della fede. Siracusa divenne ufficialmente la sede
del Metropolita di Sicilia. Poco più di un secolo dopo, San Metodio,
siracusano, divenne Patriarca ecumenico di Costantinopoli e
l’Arcivescovo di Siracusa Giovanni Asbesta, successivamente, fu
addirittura il principale consacratore di un altro Patriarca
costantinopolitano, Fozio.
In
seguito al succitato atto del basileus costantinopolitano, è documentata la presenza di altri presuli messinesi a concili e sinodi (Gaudioso, 787; Gregorio, 868), ma con la conquista
islamica della Sicilia (827-965) tutta l’organizzazione ecclesiastica isolana
ne risentì gravemente. Solo nelle impervie vallate del Val Demone,
soprattutto nella zona dei Nebrodi, alcuni monasteri greci (come
quello di San Filippo di Fragalà in Frazzanò, nel territorio dell’allora
capoluogo Demenna) sopravvissero, solitari custode di un ricco patrimonio culturale e
religioso.
Le
incursioni islamiche, divenute frequenti anche in Calabria e
l’instabilità degli stati longobardi nel Meridione, indussero San
Nilo da Rossano ed alti monaci calabresi legati alla tradizione
bizantina (tra cui San Bartolomeo da Rossano) a spostarsi nel Lazio,
dove fondarono l’Abbazia di Santa Maria in Grottaferrata, alle
porte di Roma.
Poco
dopo, la crisi nei rapporti tra le Chiese di Oriente ed Occidente e
la contemporanea conquista normanna del Mezzogiorno e della Sicilia,
accompagnata da una lenta ma graduale latinizzazione delle Chiese
locali, rese più precaria la situazione delle comunità
italo-greche.
Ciò
nonostante, i normanni ricostruirono molti cenobi bizantini in
Sicilia e fondarono a Messina il monastero del Santissimo Salvatore “in lingua
Phari” di Messina, importantissimo centro del monachesimo
siculo-greco, poi elevato, con un decreto del maggio del 1131 di Re
Ruggero II di Sicilia, a “mandra”, vale a dire centro di
riferimento per altri monasteri. L’egumeno (abate) del monastero
assunse il titolo di Archimandrita del SS. Salvatore, con
oltre sessanta monasteri alle sue dipendenze tra Sicilia e Calabria.
Nel
XV secolo, con l’inizio dell’aggressione ottomana all’Albania,
numerosi abitanti del paese delle Aquile iniziarono a riversarsi nel
Sud dell’Italia ed in Sicilia. Alla presenza italo-greca. che si
trascinava ormai stancamente, si aggiunse così quella degli
italo-albanesi, parimenti legati alla tradizione della Chiesa
bizantina. In questo periodo l’Arcivescovo di Ocrida, che era
diventato da tempo la massima autorità della Chiesa albanese,
nominò Pafnuzio come Metropolita d’Italia, inviandolo dal Papa affinché comandasse agli albanesi d’Italia di obbedire al
nuovo episcopo. Il Pontefice Giulio III accettò l’invito e nominò Pafnuzio Arcivescovo di Agrigento ed in un Breve,
consegnato allo stesso presule, stabilì che il nuovo Metropolita poteva liberamente esercitare il suo ministero e che nessuno doveva impedirglielo. In pratica le attività che poteva svolgere Pafnuzio erano la
celebrazione della Divina Liturgia e l’amministrazione dei sacramenti secondo i riti, i costumi, le tradizioni e le osservanze della Chiesa
d’Oriente. Prima di Pafnuzio il Metropolita per gli albanesi d’Italia
era stato Giacomo, nominato da Procoro di Ocrida, che visse fino al
1543 ed a cui successe Pafnuzio, morto nel 1566; poi venne Timoteo, già vescovo di Corizza; infine Acacio Casnesio, ultimo metropolita di Agrigento, ma che di fatto non poté mai esercitare le sue prerogative.
Il Breve di Leone X “Accepimus nuper” del 18 maggio 1521
confermò a il libero esercizio delle proprie tradizioni per tutti i fedeli di rito greco,
autorizzò la celebrazione dei sacramenti per i fedeli orientali anche nel territorio di un vescovo latino ed
impose ai vescovi latini di avere un vicario generale orientale in caso di presenza di fedeli orientali nei territori sottoposti alla loro cura spirituale. Nulla mutò fino al Concilio di Trento.
L’anno
dopo la chiusura del Concilio Tridentino, Papa Pio IV con il Breve
“Romanus Pontifex”, del 16 febbraio 1564, abrogò le esenzioni ed i privilegi concessi dai pontefici precedenti,
sottomettendo così le comunità orientali alla giurisdizione dei vescovi ordinari latini.
Pertanto,
nel 1573, sotto il pontificato di Gregorio XIII, fu istituita la Congregazione dei Greci (la
Curia romana mai differenziò gli italo-albanesi dagli italo-greci, chiamandoli sempre con quest’ultima formula).
Attraverso questo organismo, guidato dall’Arcivescovo di Santa Severina Giulio Antonio
Santoro, si pensò di risolvere la situazione degli italo-albanesi e
degli ultimi italo-greci decidendo di individuare un nuovo vescovo di rito
greco abilitato ad ordinare in debita e legittima forma nuovi sacerdoti albanesi e greci. Questa istanza fu fatta propria dal Papa Clemente VIII, che la recepì nel documento pontificio noto come
“Perbrevis Instructio” del 31 agosto 1595. Il primo vescovo orientale per origine ecclesiastica e per rito, soggetto direttamente all’autorità del Pontefice Romano fu il cipriota Germano Kouskonaris, il quale, fuggito da Famagosta, viveva stentatamente a Roma come
cappellano del Collegio Greco, fondato nel 1577.
La
stabilità assicurata dalla nuova situazione non rese il clima però
più favorevole al clero bizantino. Basti pensare al sacerdote Nicola Basta di Spezzano Albanese, che per essersi opposto alla latinizzazione del suo paese fu incarcerato nel castello di Terranova, dove il 31 agosto 1666 morì di stenti. Di lì a poco Spezzano Albanese avrebbe perso definitivamente il rito greco a favore di quello
latino, come poi accaduto ad altre comunità italo-albanesi.
Per
quanto riguarda i siculo-greci e gli italo-greci, nel 1588, durante
il sinodo di Messina, il clero greco bizantino, che nel 1549 aveva
subito la distruzione della Cattedrale dell’Archimandritato del
Santissimo Salvatore, in parte si adeguò alla nuova situazione, in
parte emigrò.
Nel
1608 gli ultimi monaci italo-greci si riunirono per dare vita alla
Congregazione dei Basiliani d’Italia, imperniata sul Monastero di
Grottaferrata. Nel frattemo, l’Archimandritato di Messina era
ormai fortemente latinizzato. Il processo culminò nel 1883, con la
decisione di Papa Leone XIII di unire l’Archimandritato del SS. Salvatore di Messina
“aeque principaliter”, all’Arcidiocesi di Messina. Nel 1908,
Papàs Vito Stassi, ultimo Protopapa della Chiesa di Santa Maria del
Graffeo in Messina, muore sotto le maceria del disastroso terremoto,
insieme alla stragrande maggioranza dei fedeli bizantini messinesi.
Con la ricostruzione della città, la comunità bizantina non viene
ricostiuita.
Frattanto,
dopo secoli in cui venivano nominati vescovi titolari ordinati per
gli italo-albanesi, basati nei seminari di San Benedetto Ullano (poi
San Demetio Corone) e Palermo (entrambi fondati nel XVIII secolo,
quando si registrarono anche le ultime testimonianze di preti
italo-greci e dell’esistenza di testi liturgici in greco nella
provincia di Messina), nel 1919 viene creata l’Eparchia di Lungro
per i fedeli bizantini dell’Italia continentale e nel 1937 quella
di Piana degli Albanesi per la Sicilia.
.Nel
1997 viene ripristinata Parrocchia “Santa Maria del Graffeo”,
come parrocchia personale per i fedeli bizantini dell’Arcidiocesi
di Messina, Lipari e Santa Lucia del Mela. Nel 1999 viene ordinato
presbitero, per imposizione delle mani da parte dellEparca di Piana
degli Albanesi mons. Sotir Ferrara, Papàs Antonio Cucinotta,
nominato parroco.
Attualmente
la Chiesa Bizantina in Italia è formata da tre circoscrizioni
religiose: l’Eparchia
di Lungro, l’Eparchia
di Piana degli Albanesi, ed il Monastero
Esarchico di Santa Maria di Grottaferrata. Ad esse va
aggiunta la Parrocchia “Santa Maria del Graffeo”, dipendente
dall’Arcidiocesi messinese a cui è unito l’antico
Archimandritato del Ss. Salvatore. Esistono poi altre realtà
bizantine, legate alla presenza di fedeli di tradizione bizantina
giunti in tempi recenti dalla Grecia, dalla Romania, dall’Ucraina,
dalla Russia e da altri paesi dell’Europa orientale o
dell’Oriente cristiano.
Nel
2012 la città di Messina è stata riconosciuta come comune di
minoranza linguistica greca in virtù dell’importanza della
presenza siculo-greca nel corso della sua storia e dell’attuale
esistenza di un nucleo di famiglie greco-messinesi.