Nel 1131 e nel 1133 due diplomi
di Re Ruggero II di Sicilia disponevano che tutti i monasteri greci
dell’Isola dovevano dipendere da quello del Santissimo Salvatore “in lingua Phari”
di Messina, contestualmente elevato ad archimandritato. Nacque da
questi atti un vero e proprio sistema federativo del monachesimo
bizantino nel Regno, poi applicato dal re Guglielmo II, nel 1168,
anche ai monasteri italo-greci della Calabria e della Basilicata.
Con
la diminuzione della conoscenza della lingua greca, il monachesimo
italo-greco, soprattutto dopo l’avvento della dinastia
siculo-aragonese, iniziò a declinare rapidamente.
Il
Metropolita Bessarione, già Arcivescovo di Nicea per il Patriarcato
ecumenico di Costantinopoli, nel 1439 divenuto cardinale, negli anni
successivi fu nominato commendatario dell’Archimandritato del Ss.
Salvatore di Messina e dell’Abbazia di Santa Maria in
Grottaferrata: egli riuscì a rivitalizzare la tradizione monastica
bizantina in Italia ed in Sicilia, convocando nel 1446 i superiori
dei monasteri greci di Sicilia, Calabria e Puglia presso la Basilica
dei Ss. Apostoli in Roma, di cui deteneva il titolo cardinalizio. Fu
il primo vero e proprio capitolo de basiliani d’Italia. Il
cardinale Bessarione riuscì inoltre a riaprire la scuola di greco
di Messina, affidata all’umanista bizantino Costantino Lascaris,
obbligando i monaci a frequentarla.
Si
dovette però aspettare il 1° novembre 1579, data in cui papa
Gregorio XIII riunì in un unico ordine i monaci di tradizione
bizantina presenti nella penisola e nelle isole (sita italo-greci,
sia italo-albanesi), con la bolla “Benedictus Dominus”, perché
nascesse la Congregazione d’Italia dei Monaci Basiliani. Furono istituite tre
ripartizioni del neonato Ordine di San Basilio Magno: quella siciliana
con sede a Messina, presso l’Archimandritato
del Ss. Salvatore, quella, calabro-lucana basata a Rossano e quella romano-napoletana, avente il
suo centro presso l’Abbazia
di Grottaferrata, alle porte di Roma. Le attività
precipue dei monaci furono lo studio, la preghiera, l’educazione dei giovani e l’apostolato.
I basiliani italiani ebbero
l’incarico di rivitalizzare anche i monasteri di tradizione
orientale presenti in Spagna, che Filippo II avrebbe voluto
sopprimere al pari di quelli italiani e siciliani e che vennero posti alle dipendenze di Grottaferrata (gli ultimi
cenobi spagnoli scomparvero nel 1855, a causa delle leggi del governo di Baldomero Espartero).
A
partire dalla metà del XVIII secolo, con la soppressione di numerosi monasteri nel Regno di Napoli, per
l’Ordine basiliano italiano iniziò un nuovo periodo di decadenza, culminato nel 1866, con le leggi eversive
sabaude del Regno d’Italia: l’unico monastero sopravvissuto fu quello di Grottaferrata, mantenuto come monumento
nazionale. Negli anni Trenta del XIX secolo era iniziato anche un
lungo periodo di sede vacante per l’Archimandritato del Santissimo
Salvatore di Messina, protrattosi fino al 1883, quando la storica
istituzione del monachesimo greco di Sicilia fu unita “aeque
principaliter”, all’Arcidiocesi messinese.
La tradizione greca venne
tuttavia ripristinata integralmente a Grottaferrata con decreto del 12 aprile 1882: le nuove costituzioni dei
Basiliani d’Italia furono approvate una prima volta nel 1900 e nuovamente, dopo alcune modifiche apportate dalla Congregazione per le Chiese Orientali, il 6 aprile
1929.
Nel 1920 i
Basiliani ripresero possesso, grazie all’opera dello ieromonaco
siciliano Nilo Borgia, del monastero di Mezzojuso, in
provincia di Palermo (fondato da monaci cretesi e retto nel XVII
secolo dall’abate messinese don Nilo Catalano di Castanea, latino
di nascita e poi monaco a Grottaferrata, egumeno a Mezzojuso ed
infine arcivescovo di Durazzo in Albania); nel 1932 fondarono
anche quello di San Basile, in
provincia di Cosenza, e nel 1949 quello di Piana degli Albanesi,
sempre nel palermitano.
Attualmente
l’ordine
conta tre case: l’Abbazia
di Grottaferrata, il collegio “San Basilio” di Roma e
l’Istituto del Santissimo Salvatore di Piana degli
Albanesi.